SEGRETARIATO ATTIVITA' ECUMENICHE - A.P.S.

gruppo di Milano

ASSOCIAZIONE INTERCONFESSIONALE DI LAICHE E LAICI
PER L'ECUMENISMO E IL DIALOGO A PARTIRE DAL DIALOGO EBRAICO-CRISTIANO


Sul tema, proposto per la XXXIV giornata del dialogo ebraico-cristiano, la Comunità Paolo VI e il SAE di Milano hanno organizzato un incontro di “parole e musica”presso l’Auditorium S.Marco. Relatori Rav Alfonso Arbib e la prof.ssa Maria Teresa Milano; musiche del gruppo Klezmer.
L’incontro è stato molto coinvolgente, chiaro e con momenti di viva commozione tra i presenti e i tanti/e che seguivano online.
La prof. Milano ha iniziato dando una breve spiegazione sulle musiche che sarebbero seguite, le Mishkalé: musiche che sono poesia, preghiera, speranza, nascono dal popolo, anzi dai popoli, perché contengono melodie e ritmi popolari provenienti dai luoghi dove gli ebrei sono vissuti attraverso i secoli, in particolare dai paesi dell’Europa dell’Est. Nella liturgia ebraica rimangono sempre fondamentali i testi in ebraico, mentre i canti sono coerenti alle lingue parlate nei luoghi e nei tempi in cui sono nati, specialmente lo yiddish, e sono in continua trasformazione, registrando la storia dell’ebraismo con frequenti richiami alla terra, alla natura, al “deserto che fiorisce” (La vigna di Isaia).
Oggi il deserto è fiorito, continua Maria Teresa, è fiorito in quel deserto del “silenzio sottile”che- se riusciamo a sentirlo- ci conduce alla Torah. La Torah è una grande fonte di luce, vi troviamo un Dio unico e un angelo che vigila sulle nostre vite. Fioriscono anche i canti e le poesie che descrivono una terra che germoglia. Elza Ferrario legge il brano di un canto della poetessa Naomi Shemer che la relatrice (anche ottima cantante) canterà subito dopo. Gerusalemme è nel sogno, città di aria e di monti, di luce e di lamenti. La nostalgia è palpabile, è un momento di grande emozione per tutti/e.
Il brano di Isaia suggerito dalla CEI, condiviso e apprezzato dalla rappresentanza ebrea presieduta dal Rabbino Riccardo Di Segni, parla di consolazione. Nella Scrittura, continua la relatrice, la consolazione avviene dopo la perdita di una persona o di un luogo caro, si ricorda la perdita del primo e del secondo Tempio (70 d.c.), il lamento del popolo è come un sospiro che nasce dalle viscere, è una situazione insostenibile. La desolazione è tale che è necessaria un’assunzione di responsabilità: bisogna uscirne! Il lamento è la scintilla da cui parte il processo di guarigione da una ferita. Elevare un lamento può essere catartico e segnare l’inizio di una nuova condizione (Rav Jonathan Sacks). Il canto è lo strumento per esprimere le emozioni, la sofferenza, la consolazione. Dopo la grande distruzione del Tempio in Gerusalemme, nonostante il lutto il canto non si ferma, in esilio il canto esce più limpido e si cita Gerusalemme come spazio di consolazione.
La storia del popolo ebraico è storia di strappi, perdite, rinascite, consolazione e continue domande, ma “quando alziamo gli occhi al cielo noi siamo consolati” e in “Gerusalemme sarete consolati” (Isaia 66-13).
La bella presentazione della prof. Milano, qui necessariamente molto ridotta, è stata accompagnata man mano dalla musica e dai canti che hanno creato un tutt’uno tra parole, musica, emozioni e, anche per i presenti non ebrei, nostalgia di Gerusalemme.
È quindi intervenuto rav Alfonso Arbib, rabbino capo della Comunità ebraica di Milano e presidente dell’Assemblea Rabbinica Italiana.
Innanzitutto ha espresso la soddisfazione e la sorpresa della delegazione ebrea per la proposta del brano scelto dalla CEI. Si tratta di un brano particolarmente importante per la liturgia ebraica, si canta il sabato successivo al 9 di Av, a conclusione del periodo di lutto in memoria della distruzione dei due templi e di tante altre tragedie. Il sabato precedente, Shabbat di Hason, si legge un terribile brano di Isaia in cui Dio si lamenta perché “il toro conosce il suo padrone, l’asino conosce la mangiatoia del suo padrone, il mio popolo non conosce il suo Dio…”. Il rimprovero di Dio sembra qui la causa di tutte le sventure narrate nelle precedenti settimane ogni sabato. Il sabato successivo (il 9 di Av) invece, il brano “Consolate, consolate il mio popolo…” è un annuncio di redenzione seguito da sette sabati che culminano in Pesach, usciti dal buio verso una grande luce, dalla tristezza alla gioia.
Rav Arbib quindi ci narra un midrash: perché “consolate”è ripetuto due volte? Perché il popolo ha peccato due volte e va doppiamente perdonato? Non è così semplice. Il midrash narra di quattro grandi maestri che visitano Gerusalemme dopo la distruzione totale della città, ricostruita dai romani e ribattezzata Aelia Capitolina. Tre maestri piangono mentre uno di loro, Akivà, ride. Gli chiedono il motivo del riso e Akivà risponde: “sono sicuro che anche loro la pagheranno”. Proseguendo arrivano al luogo dove sorgeva il Tempio e sul suolo sacro, che nessuno può calpestare, una volpe sta passeggiando. Nuovamente Akivà ride, mentre gli altri sono affranti. Alle domande dei compagni Akivà risponde: “ci sono due profezie, la prima dice che Gerusalemme sarà arata come un campo, e questa profezia si è realizzata, la seconda dice che ancora siederanno tranquillamente anziani e anziane per le strade di Gerusalemme. Se la prima profezia si è avverata, ora sono sicuro che si avvererà anche la seconda”. I tre maestri rispondono a rav Akivà: ci hai consolato due volte.
Nella storia ebraica tutto è esagerato, si va dalla distruzione alla rinascita, dalla benedizione alla maledizione. È normale? Ci sono anche due modi diversi di vedere la redenzione, uno prevede il ripristino del regno di Davide nella rinascita di una nazione guidata dal messia; il secondo prevede un salto verso la santità. Gerusalemme è la città santa, la Missione ebraica è che il messia è per tutte le genti. Tutti i popoli affluiscono a Gerusalemme che si rivolge all’intera umanità.
Queste parole di speranza chiudono un incontro davvero illuminante, sarebbe stato bello, e forse non ci sarebbe stato il tempo, sentire anche una voce cristiana. Cos’è per i cristiani la consolazione, perché si ripete due volte, perché anche i cristiani pongono in Gerusalemme, città di Dio, la loro speranza?
Sarebbe bello avere un altro incontro, proseguire il dialogo sul filo della speranza che promana da Gerusalemme.
Elena

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